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Moda e pericolosità: la crinolina

  • Immagine del redattore: patrizia gaboardi
    patrizia gaboardi
  • 30 ago 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

Le crinoline erano diventate vere e proprie gabbie ottenute con cerchi di filo metallico che creavano un effetto architettonico sempre più voluminoso che raggiunse la massima ampiezza nel 1866.

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Nella moda tutto si ripresenta, oggi come nel passato, seppur con esigenze e destinazioni d’uso completamente diverse. Nell’Ottocento poi, si avvicendarono un revival dietro l’altro. Intorno al 1830, nel periodo Vittoriano (dal 1837 al 1901) il revival più in voga era quello medievale che venne indotto da una forte ondata romantica che indusse le donne ad adottare gonne lunghe con strascico e corsetti dalle maniche a sbuffo, fodere di pelliccia e berretti di velluto ornati di piume. Inoltre, maniche dette à gigot, gonne sempre più ampie … tutto fino al ripristino di una sottostruttura rigida, tratta da verdugale e guardinfante: la donna ottocentesca adottò quindi la crinolina.

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In uso all’incirca dal 1840, la crinolina era una sottogonna fatta di crine di cavallo intessuti con lino o seta, ammorbiditi ed impermeabili all’acqua che non si sgualciva o deformava: il suo inventore fu M. Oudinot.

Passate da un modello all’altro, le crinoline dal 1856 erano diventate vere e proprie gabbie ottenute con cerchi di filo metallico che creavano un effetto architettonico sempre più voluminoso che raggiunse la massima ampiezza nel 1866.

 “La parte inferiore del vestito spesso era costituita da un insieme di nove o dieci strati fra gonna e sottogonne realizzate in diversi materiali. Le varie sottogonne non erano vendute singolarmente ma a fasci, anche di dodici l’uno. Era pure molto apprezzato il fruscio determinato dal contatto fra le sottogonne e per aumentarne l’effetto sonoro in qualche caso non si esitava a inserire fra una gonna e l’altra qualche foglio del «Daily News», o meglio ancora del «Times», come si legge in uno dei libri di memorie di Molly Hughes” (“Breve storia della moda in Italia”, M.G. Muzzarelli).


La moda della crinolina comunque durò poco: nel giro di una ventina d’anni queste strutture si ridussero via via di dimensione, venendo poi sostituite con altri indumenti. Eppure il suo successo fu enorme, lo si ebbe sia negli ambienti aristocratici che in quelli borghesi.  Divenne l’oggetto del desiderio di tutte le donne, proprio tutte! A personalizzarlo non mancavano le guarnizioni usate per rendere più bella una superficie di tessuto così estesa: pon-pon, fiocchi, nastri, frange, rouches, e tanto tanto altro. Cosa importava se era ingombrante ed impediva a queste signore di compiere qualsiasi gesto con disinvoltura: impediva, cioè, loro la più normale mobilità.

Inoltre, questo innocuo indumento causò anche la morte di migliaia di donne: era facile per chi la indossasse urtare lumi, candele o camini accesi, rischiando di morire bruciate nel proprio abito in pochissimo tempo.


Fin da subito si parlò dei rischi che correvano le donne indossandola; al riguardo furono realizzate illustrazioni, scritti articoli di giornale e diffusi appelli:

Nightingale fece pressioni sulle autorità britanniche affinché diffondessero dati sulle donne morte a causa di incendi causati dalle crinoline; il medico legale londinese Edwin Lankester in un articolo del 1864 intitolato Un altro olocausto per la crinolina scrisse: «Nel corso di tre anni, a Londra hanno perso la vita a causa di incendi, principalmente per aver indossato crinoline, tante donne quante ne sono state sacrificate a Santiago». (ovvero, un tragico incendio dell’anno precedente in Cile, in cui duemila donne morirono bruciate in una chiesa, dal quale luogo non riuscirono più ad uscire per via dei propri abiti troppo ingombranti).

Nel 1858 il New York Times, stimò «non meno di 19 morti per questa causa in Inghilterra tra gennaio e metà di febbraio», mediamente tre donne a settimana. Infatti, solo nel Regno Unito, nei 10 anni in cui la crinolina andò più di moda, circa tremila donne morirono per colpa della propria gonna.


Tra le “vittime della crinolina” ci fu Fanny Longfellow, moglie del poeta Henry Wadsworth Longfellow, che morì nel luglio 1861 a Cambridge, nello stato del Massachusetts: secondo i giornali dell’epoca, la donna stava giocando con i propri figli più piccoli quando un fiammifero o un pezzo di carta incendiato si sarebbe impigliato nel suo vestito; le due sorelle dello scrittore Oscar Wilde, Emily e Mary Wilde, il 31 ottobre del 1871, la notte di Halloween stavano partecipando a un ballo: il vestito di Emily prese fuoco mentre ballando un valzer fece una piroetta vicino a un camino acceso. La sorella si avvicinò per assisterla, e prese fuoco anche il suo vestito: morirono entrambe pochi giorni dopo. Potrei continuare a raccontare aneddoti su aneddoti ma credo che già questi siano sufficienti al racconto.


Come riportato nel libro Patriots Against Fashion: Clothing and Nationalism in Europe’s Age of Revolutions, lo scrittore e giornalista bulgaro Petko Slaveykov scrisse che, nell’arco temporale compreso tra gli anni 1850 e 1864, quasi 40.000 donne morirono in tutto il mondo proprio a causa degli incendi connessi all’uso della crinolina. È importante far notare che, in quel periodo vi erano in commercio tessuti decisamente meno infiammabili da impiegare per la realizzazione di abiti e indumenti ma si preferiva non utilizzarli in quanto ritenuti meno eleganti da indossare.

Un verdetto di “morte accidentale da incendio, causato dalla crinolina” fu stilato da un vice-coroner inglese dopo il decesso di Margaret Davey. L’uomo di legge volle precisare di essere “stupito al pensare che la mortalità causata da tale moda non fosse stata portata con maggior forza all’attenzione del Cancelliere Generale”.


La pericolosità della crinolina, inoltre, è stata spesso collegata anche ad altri tipi di incidenti: impigliarsi tra i piedi o nelle ruote delle carrozze, oppure causare imbarazzo se una raffica di vento la faceva ribaltare, lasciando scoperta la biancheria intima (ci sono veramente molte storie e vignette satiriche a riguardo).

Ben più gravi le conseguenze di un’incidente avvenuto in un’industria nel 1864: un meccanismo rotante prese nei suoi ingranaggi la crinolina di un’operaia, Ann Rollinson, che morì per le ferite riportate.

Come tutte le mode, anche quella della crinolina passò, forse più per il suo ingombro che per i rischi che comportava…

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Descritto ciò e considerato poi che le crinoline venivano indossate abbinate ai corpetti sicuramente molto strizzati, possiamo ipotizzare che l’immobilità era alla base dell’estetica femminile. Avete presente le bamboline nei carillon? Ecco, le donne erano immobili fisicamente e psicologicamente come loro. Immaginiamo di indossare un capo stretto per un’intera giornata – una scarpa, uno slip, un reggiseno o quant’altro – cosa ci ricorderemmo alla sera della giornata appena trascorsa? Nulla, eravamo troppo distratti dal dolore provocato dall’indumento. Moltiplicate questa condizione per ogni giorno, ogni settimana, ogni anno… fisicamente e psicologicamente ne rimarrete segnati. Quindi a chi si chiede: perché non si ribellavano ma anzi assecondavano tale moda? Accettazione della propria condizione in balia della ricerca estetica.

Non mi sbaglio nel definire la crinolina uno dei tanti strumenti di tortura fatti indossare alle donne, uno dei tanti, per l’appunto, non l’unico. (Per conoscere meglio i cambiamenti dell’abito femminile posso consigliare un testo (vedi fine articolo) davvero ben dettagliato storicamente che può aiutare a documentarsi in tal senso).


Torniamo al giorno d’oggi per un’ultima considerazione, del tutto personale. Mi vien da ridere nel ricordare come questo indumento “gabbia” (firmato Dior) fu indossato da una nota influencer in una serata in tv poco dopo aver sfoggiato una scritta nera su una stola bianca che recitava “Pensati libera”.  Pensati libera?! Indossi una costosissima gabbia dorata in bella vista, tra l’altro la fai indossare anche alla tua bambina… Indossi, quindi, con vanità un indumento che simboleggia immobilità e tragedia e mi dici “Pensati libera”? Sono confusa!

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Testo consigliato: L’abito femminile. Una storia culturale, di Georges Vigarello, Giulio Einaudi Editore, 2018.


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