Petrus Gonsalvus: il gentiluomo che ispirò “La Bella e la Bestia”
- Patrizia Gaboardi
- 22 ago 2018
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 14 ott 2020
I due non si incontrarono fino al giorno delle nozze, si narra infatti che la giovane donna svenne alla vista del futuro marito.

Il remake disneyano della famosa fiaba europea “La Bella e la Bestia”, che ha incantato e fatto sognare intere generazioni, trae le sue origini da alcuni testi della letteratura greco-latina del II secolo d.C., tra i quali spicca la favola di “Amore e Psiche”, narrata nella celebre opera “Le Metamorfosi” (o “L’asino d’oro”) di Apuleio. Nel 1550, lo scrittore italiano Giovanni Francesco “Straparola” rimodellò il racconto originale realizzando la prima versione scritta de La Bella e la Bestia nel suo libro di racconti “Le piacevoli notti”.
La fiaba scritta dallo Straparola parrebbe ispirarsi all’incredibile vicenda del nobile Petrus Gonsalvus (Pedro Gonzales), uno dei personaggi più noti nell’ambiente aristocratico del XVI secolo.
Nato nel 1537 a Tenerife, discendente dei “mencey”, i re degli aborigeni delle Canarie (guanchi) sopraffatti e resi schiavi dalla conquista spagnola a fine Quattrocento, Petrus Gonsalvus era affetto da ipertricosi congenita, un’alterazione genetica che si manifesta con l’eccessiva crescita di una folta e lunga peluria su tutto il corpo, compreso il volto.
All’età di dieci anni, fu inviato come “regalo” al Re Carlo V d’Asburgo, nei Paesi Bassi, ma durante la traversata in mare un’incursione di corsari francesi portò alla cattura del giovane, che fu recato, invece, come dono di matrimonio ad Enrico II di Valois, Re di Francia, il quale lo accolse nella sua corte. Qui la patologia che lo affliggeva destò grande curiosità nella regina Caterina de’ Medici, donna di forte personalità, amante dell’esotico, che rivelò fin da subito un estremo interesse e orgoglio nell’ospitare tra i suoi cortigiani Pedro; si occupò, pertanto, di fornirgli la più alta formazione culturale del tempo, fondata sullo studio della lingua latina e delle discipline umanistiche: Petrus fu visto come un’icona esotica da conservare con tutti i riguardi e crebbe come un vero gentiluomo.
Tutti lo chiamavano wildman (uomo selvaggio), in riferimento a una creatura medievale che mangiava i bambini di notte.

Pedro Gonzales nel 1573 compì 36 anni e la Regina fece in modo di trovargli una sposa tra le dame di corte, scegliendo la più bella, Catherine Raffelin – figlia di un domestico.
I due non si incontrarono fino al giorno delle nozze, si narra infatti che la giovane donna svenne alla vista del futuro marito.
L’intento meschino della Regina era scoprire se Petrus si sarebbe trasformato in “bestia” durante l’atto sessuale e se la “bella” sarebbe sopravvissuta, ma questo non avvenne. Il matrimonio forzato si rivelò un’unione insperatamente felice, in quanto la sensibilità, la dolcezza e la cultura di Petrus finirono per conquistare il cuore di Catherine.
Dal loro amore nacquero molti figli: i primi tre bambini non ebbero la sindrome del lupo mannaro mentre i successivi cinque figli, due maschi e tre femmine, ereditarono il gene paterno.
Il loro aspetto fu studiato e reso noto da Ulisse Aldrovrandi, appassionato naturalista dell’epoca, che studiò i membri della famiglia Gonsalvus pubblicandone le immagini su uno dei suoi volumetti dal titolo “De Monstris”, ( il termine latino “monstrum”, in questo caso, non aveva nessun significato negativo) e dalla ritrattista Lavinia Fontana, amica della famiglia Aldrovandi, che ritrasse la figlia della coppia Antonietta, detta Tognina, e lo stesso Petrus.
Dopo la morte di Caterina de’ Medici, nel 1589, e la rovina della dinastia Valois, Petrus Gonsalvus fu ceduto dalla corona francese alla corte parmigiana dei Farnese; in seguito, si stabilì definitivamente a Capodimonte, presso il lago di Bolsena (VT), dove morì nel 1618, all’età di 81 anni, lontano dai clamori delle corti reali. I particolari della sua vita si trovano nell’Archivio Vaticano e negli Archivi di Stato di Roma e Napoli.
Petrus Gonsalvus, nella sua singolarità, fu nella vita uomo di successo e un grande intellettuale. L’ipertricosi che lo affliggeva, anziché essere un limite finì per rivelarsi un’occasione.
Anche se, a causa del pregiudizio sociale, non fu mai realmente accettato come essere umano dalla comunità, la sua storia d’amore con la bella Catherine è la testimonianza di quanto sia relativo il valore delle bellezza e di come, attraverso i sentimenti autentici, le doti personali e la giusta determinazione, si possa attraversare il velo delle apparenze e superare ostacoli a prima vista insormontabili.
La fiaba de“La Bella e la Bestia” raccontata nei film, nei telefilm, opere teatrali, nei cartoons, nei libri per ragazzi, racchiude un forte messaggio anche se, la vera storia rispetto alla fiaba Disney non vede nel protagonista nessuna “trasformazione” fisica, ma solo la capacità di accettare la diversità e il desiderio di andare oltre le apparenze.
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